C’è stato un momento, non molto tempo fa, in cui il termine Prompt Engineer echeggiava nei corridoi delle startup più visionarie e dei colossi tecnologici come un’eco futuristica, carica di fascino. Sembrava il lavoro perfetto: un incrocio tra arte e tecnica, tra poesia e programmazione. Era il mestiere di chi sapeva parlare con le macchine, trovare la giusta formula per accendere la scintilla nell’intelligenza artificiale. Ma come spesso accade nelle rivoluzioni tecnologiche, ciò che all’inizio è raro e magico finisce per diventare comune, integrato, quasi invisibile. E oggi, nel 2025, quella figura mitica sta lasciando il posto a una nuova generazione di competenze, più profonde, più strategiche. E sì, più umane.
Il tramonto del Prompt Engineer come professione autonoma
Nel 2023, il Prompt Engineer era sulla cresta dell’onda. Con l’esplosione di modelli come GPT-3 e poi GPT-4, saper scrivere un prompt efficace significava, di fatto, saper dominare la conversazione con l’intelligenza artificiale. Le aziende erano affamate di questi sussurratori dell’algoritmo, capaci di ottenere da una semplice frase intere strategie di marketing, righe di codice pulite o analisi complesse. I corsi si moltiplicavano, le community fiorivano, e gli stipendi – inutile dirlo – erano da capogiro.
Ma poi è successo qualcosa. I modelli sono migliorati. Sono diventati più intelligenti, più “umani”, più capaci di comprendere input vaghi, ambigui, imperfetti. Prompt “sbagliati” hanno iniziato a generare comunque risultati di valore. In parallelo, le aziende hanno iniziato a diffondere internamente una cultura dell’interazione con l’IA, integrando le competenze necessarie nei team esistenti. Il Prompt Engineering si è smaterializzato, è diventato una soft skill, una parte del bagaglio comune di chi lavora nel digitale, non più un mestiere a sé.
L’intelligenza artificiale che non ha più bisogno di essere guidata (troppo)
Oggi, modelli come GPT-4 o Minerva 7B – l’ambizioso progetto tutto italiano – sono in grado di gestire multimodalità, contesto, sfumature linguistiche. Possono interpretare immagini, codici, documenti complessi. Sanno anticipare l’intento dell’utente, riducendo l’attrito nella conversazione. È come se fossero passati dall’essere strumenti, a diventare veri compagni di lavoro. Non serve più uno specialista per ogni interazione: ne basta uno per disegnare l’ecosistema, addestrare correttamente il modello, garantire sicurezza e integrità.
Dalla specializzazione all’integrazione: il nuovo mondo del lavoro AI-driven
Ecco allora che il Prompt Engineer lascia la scena. Ma non è un addio drammatico. È piuttosto una metamorfosi. Perché le aziende non hanno smesso di cercare figure esperte di IA – tutt’altro. Solo che oggi le cercano con un orizzonte più ampio. Vogliono AI Trainer, che sappiano plasmare il modo in cui l’IA apprende. Vogliono AI Data Specialist, custodi della qualità e dell’etica dei dati. Vogliono AI Security Specialist, guardiani di sistemi sempre più autonomi ma anche vulnerabili. Figure che sappiano muoversi lungo tutto il ciclo di vita dell’intelligenza artificiale, dal dataset alla produzione.
Ed è proprio in questo scenario che isek.AI Lab si colloca con una proposta diversa. Non una semplice formazione su come “scrivere prompt”, ma un laboratorio evoluto in cui si progettano architetture AI-oriented, si sperimentano soluzioni etiche e si promuove un’interazione tra uomo e macchina basata su senso, contesto e strategia.
Isek.AI Lab: l’ecosistema oltre il prompt
Isek.AI Lab non si limita a formare prompt engineer, li supera. Costruisce profili AI-ready, professionisti capaci di affrontare sfide reali, in contesti complessi, con modelli sempre più avanzati. Non si tratta di imparare una tecnica, ma di acquisire una visione. È un approccio sistemico, che unisce linguaggi naturali, intelligenza collettiva, sostenibilità e governance dei dati. È un hub dove si sperimenta l’IA non solo come tecnologia, ma come cultura, come linguaggio evolutivo.
Ecco perché oggi, nel pieno dell’era post-prompt, Isek.AI Lab offre un vantaggio competitivo concreto: non insegnare cosa scrivere all’IA, ma come co-creare con essa. Una differenza sostanziale, soprattutto in un mercato del lavoro che si muove sempre più verso modelli ibridi, in cui umani e agenti intelligenti collaborano quotidianamente.
Il futuro è nelle competenze ibride
Nel report “Work Trend Index 2025” di Microsoft, emerge chiaramente come le Frontier Firms – quelle aziende che abbracciano l’IA in profondità – stiano assumendo meno prompt engineer e più figure ibride. Non è più il tempo della verticalità estrema, ma dell’integrazione trasversale. Chi sa comunicare con l’IA è utile. Chi sa addestrarla, migliorarla, proteggerla… è essenziale.
Ed è su questo punto che isek.AI Lab fa la differenza. Formazione esperienziale, casi d’uso concreti, strumenti di ultima generazione, e soprattutto una visione chiara: l’intelligenza artificiale è un’estensione delle nostre capacità, non un enigma da decifrare. Il prompt non è il fine, ma il mezzo. E oggi, più che mai, serve chi sappia costruire sistemi, non solo interazioni.
Da pionieri a protagonisti: il passaggio di testimone
I Prompt Engineer sono stati i pionieri. Hanno aperto la via, hanno costruito ponti tra linguaggi e modelli. Ma ora che i modelli sanno camminare da soli, serve una nuova generazione di professionisti. Visionari, sì. Ma anche architetti, facilitatori, strateghi. Servono alleati, non domatori.
isek.AI Lab è nato proprio per questo: accompagnare aziende e talenti in questa nuova fase, dove il valore non è più nell’artificio del prompt, ma nella coerenza dell’interazione. In un mondo dove l’IA è dappertutto, chi la sa usare non basta più. Serve chi la sa integrare.
Perché il futuro non sarà scritto da chi sa dare istruzioni all’IA. Ma da chi sa costruire insieme a lei.
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