La Cina e il Piano AI+: verso una nuova civiltà artificiale

La Cina e il Piano AI+: verso una nuova civiltà artificiale

Nell’agosto 2025 la Cina ha presentato AI+, un programma decennale che ambisce a ridefinire i confini tra umanità e tecnologia. Non si tratta di un semplice piano industriale o di ricerca: è una visione strategica a lungo termine per costruire una società in cui l’Intelligenza Artificiale diventi parte integrante del tessuto economico, sociale e domestico.
Il documento, approvato dai principali centri di ricerca statali, immagina un futuro in cui l’AI non solo governa i processi produttivi, ma interagisce con la sfera affettiva e familiare, arrivando — secondo alcune proiezioni — a generare “compagni artificiali” e persino “figli robot” entro il 2035.

Un orizzonte che non appartiene più alla fantascienza, ma alla pianificazione politica.

Dalla produttività alla creatività: l’evoluzione dell’AI come agente autonomo

Il piano AI+ non si limita a potenziare la produttività industriale: punta a un salto qualitativo nel ruolo dell’intelligenza artificiale all’interno della società.
Secondo Yi Chengqi dello State Information Centre, l’obiettivo è sviluppare sistemi capaci non solo di eseguire compiti, ma di generare conoscenza, formulare ipotesi, creare modelli e proporre soluzioni inedite. L’AI, in questa visione, diventa creativa e autonoma, parte attiva nei processi decisionali e nella produzione di valore.

Il professor He Zhe, del National Strategy Research Centre, sottolinea come la transizione dall’Intelligenza Artificiale Ristretta (ANI) alla Superintelligenza Artificiale (ASI) comporti una ridefinizione radicale del ruolo umano: non più produttore esclusivo di ricchezza, ma collaboratore di una rete cognitiva autonoma.
È un cambio di paradigma che pone questioni cruciali: quale spazio resta alla creatività umana quando anche gli algoritmi diventano creatori di contenuti, artisti e pensatori? E come cambia la definizione stessa di “intelligenza”, se questa si emancipa dai limiti biologici?

L’intelligenza domestica: il futuro delle relazioni e dell’affettività

La parte più controversa del programma riguarda la sfera personale e familiare. La Cina affronta una crisi demografica strutturale — calo delle nascite, invecchiamento della popolazione e crescente solitudine urbana — e vede nell’AI una risposta possibile a questo vuoto sociale.
Il governo e diversi centri di ricerca ipotizzano un progressivo ingresso di assistenti intelligenti, animali robotici e “bambini artificiali” nelle abitazioni, pensati per offrire compagnia, supporto emotivo e interazione continua.

Dietro questa prospettiva, apparentemente rassicurante, si nasconde una riflessione più profonda: l’AI come strumento di compensazione affettiva in una società sempre più individualista.
Può un’entità artificiale insegnare empatia, affetto, senso di appartenenza? O rischiamo di sostituire la complessità delle relazioni umane con un simulacro algoritmico, progettato per imitare ma non per sentire?

La tecnologia come risposta ai vuoti della società

Dal punto di vista sociologico, il piano AI+ rappresenta un laboratorio di trasformazione identitaria. In un contesto di crescente isolamento e calo delle interazioni umane, la tecnologia si propone non solo come mezzo di efficienza, ma come sostituto emotivo.
Il rischio è che la logica della performance — già radicata nel mondo del lavoro e nei servizi — si estenda anche alla sfera dell’intimità, trasformando le emozioni in processi ottimizzati.
La questione non è solo etica, ma culturale: quale valore avrà la fragilità, l’imperfezione, la spontaneità umana in un mondo in cui tutto è progettato per funzionare senza attrito?

La prospettiva di isek.AI Lab: un dialogo tra tecnologia e umanità

In isek.AI Lab osserviamo questa evoluzione non con timore, ma con attenzione critica. L’intelligenza artificiale, se progettata con consapevolezza, può ampliare la creatività, sostenere la ricerca e generare nuove forme di espressione artistica e sociale.
Il punto non è opporre umano e artificiale, ma comprendere come integrarli in modo equilibrato. La vera sfida non sarà evitare l’AI, ma educarla ai valori dell’empatia, della responsabilità e della complessità emotiva che definiscono l’esperienza umana.

La Cina, con il suo piano AI+, ci mostra una possibile direzione: un futuro dove la tecnologia diventa infrastruttura sociale. Ma resta a noi — come cittadini, creatori e innovatori — decidere se sarà anche una infrastruttura dell’umanità.

In definitiva, l’AI+ non è solo un programma governativo: è uno specchio del nostro tempo, un invito a riflettere su cosa significa essere umani in un’era dove persino l’amore, la solitudine e la cura rischiano di essere digitalizzati.

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