Nel corso del 2023, il mondo della cultura visiva, e in particolare quello dell’animazione e del fumetto, ha assistito a una svolta significativa che ha alimentato riflessioni profonde sul rapporto tra creatività umana e intelligenza artificiale. L’evento che ha catalizzato l’attenzione internazionale è stata la pubblicazione di Cyberpunk: Peach John, un manga la cui singolarità non risiede soltanto nella sua narrazione, ma soprattutto nel metodo con cui è stato realizzato: l’opera è stata interamente illustrata da un’intelligenza artificiale, Midjourney, a partire da input forniti dallo sceneggiatore Rootport.
Rootport, trentasettenne giapponese già noto per il suo lavoro dietro le quinte nell’industria dell’intrattenimento, ha apertamente dichiarato di non possedere competenze artistiche tradizionali nel disegno. Eppure, grazie all’intervento dell’AI, è riuscito a dare forma a una visione narrativa che, in condizioni convenzionali, sarebbe rimasta confinata al mondo delle idee. Questo esempio incarna perfettamente una delle potenzialità centrali dell’intelligenza artificiale: la capacità di colmare il divario tra immaginazione e realizzazione, consentendo a nuovi soggetti creativi di entrare in gioco e proporre contenuti un tempo impensabili.
Tuttavia, questa non è un’eccezione isolata. Anche in Italia, nello stesso anno, il collettivo artistico Roy Ming ha dato vita a un progetto editoriale interamente supportato dall’intelligenza artificiale, sia nella scrittura che nelle illustrazioni. L’emergere di queste pratiche segnala una tendenza che non può più essere ignorata: l’AI sta ridefinendo i confini della creatività, non solo come strumento tecnico, ma come partner concettuale in grado di co-creare contenuti artistici.
Il dibattito, però, si è acceso rapidamente. Da un lato, c’è chi esprime timori legittimi riguardo alla progressiva marginalizzazione dell’autore umano, paventando un futuro in cui l’arte potrebbe essere svuotata del suo valore espressivo e ridotta a una produzione automatizzata e impersonale. Dall’altro, c’è chi intravede in questa tecnologia un’opportunità di democratizzazione della creatività: un mezzo che permette a chiunque, anche senza competenze formali, di dare corpo a idee narrative e artistiche. È in questo contesto che si colloca l’iniziativa promossa da Yuta Momiyama, editor della casa editrice Shueisha, noto per il suo impegno nella transizione digitale delle piattaforme Shonen Jump+ e Manga Plus.
Momiyama ha infatti sviluppato Comic CoPilot AI, un’applicazione basata su ChatGPT, pensata per supportare i mangaka nella fase di scrittura. Questo strumento assiste gli autori non solo nell’elaborazione dei titoli e dei dialoghi, ma anche nel processo di revisione e affinamento, spesso il più complesso e dispendioso. Secondo Momiyama, l’obiettivo non è quello di sostituire la creatività umana, bensì di fornire un supporto concreto che alleggerisca il carico tecnico e favorisca una maggiore libertà espressiva. La posizione ufficiale di Shueisha è netta: la proprietà intellettuale delle opere rimarrà sempre saldamente in mano agli autori, e l’utilizzo dell’AI deve essere concepito come un ausilio, non come una scorciatoia per automatizzare la produzione.
Mentre il Giappone si interroga sulle nuove sinergie tra artista e macchina, un fronte più critico si apre nel mondo dell’animazione, e in particolare attorno all’eredità artistica di Hayao Miyazaki. Il recente rilascio da parte di OpenAI di una funzione per generare immagini nello stile distintivo dello Studio Ghibli ha sollevato una controversia di vasta portata. Il tool consente agli utenti di trasformare fotografie o meme in rappresentazioni visive ispirate all’universo estetico creato da Miyazaki, innescando una proliferazione virale di immagini “in stile Ghibli” sui social media. Tuttavia, dietro questa ondata di entusiasmo, si celano interrogativi cruciali sulla legittimità di replicare lo stile di un artista vivente senza il suo consenso.
La questione non è meramente etica ma giuridica. Sebbene lo “stile” di un autore non sia direttamente tutelato dalle leggi sul copyright, la possibilità che le AI vengano addestrate su opere originali senza autorizzazione solleva potenziali violazioni del diritto d’autore. Miyazaki, che già nel 2016 aveva bollato l’animazione AI come “un insulto alla vita stessa”, ha sempre difeso una visione dell’arte come espressione insostituibile dell’animo umano. La sua posizione non è semplicemente conservatrice, ma profondamente radicata in un’idea di autenticità che rifiuta la replicabilità algoritmica del gesto artistico.
La controversia ha coinvolto anche il CEO di OpenAI, Sam Altman, criticato per aver adottato un avatar in stile Ghibli per i suoi profili social. Questo gesto ha rinfocolato il dissenso tra molti artisti, tra cui Karla Ortiz, che ha già avviato procedimenti legali contro sviluppatori di AI per presunte violazioni di copyright. Il rischio concreto è che, senza un quadro regolatorio chiaro, i modelli di intelligenza artificiale possano compromettere il lavoro degli artisti, sfruttando la loro opera come materiale di addestramento senza riconoscimento né compenso.
Il confronto tra tradizione e innovazione non si limita al mondo dell’editoria e dell’animazione. Anche l’industria videoludica, da sempre all’avanguardia nell’adozione di tecnologie emergenti, si trova a un crocevia critico. In una recente tavola rotonda che ha riunito figure di spicco come Yoko Taro, Kazutaka Kodaka, Kotaro Uchikoshi e Jiro Ishii, è emerso un sentimento misto di preoccupazione e speranza. Yoko Taro, autore di titoli come NieR:Automata, ha sottolineato il rischio che le AI generative, capaci di creare asset visivi e narrativi in tempi ridottissimi, possano rendere obsoleti interi settori dello sviluppo videoludico. Tuttavia, ha anche riconosciuto che, se guidata con consapevolezza, l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento di espansione creativa, in grado di elevare il potenziale degli sviluppatori invece di annullarlo.
La visione di Taro incarna la tensione centrale del nostro tempo: l’AI è un potenziatore, non un sostituto. La differenza risiede nell’uso consapevole e responsabile che ne viene fatto. La paura che un domani i creatori umani possano essere relegati al ruolo di semplici narratori di storie ideate da algoritmi è, almeno per ora, più una provocazione filosofica che una minaccia concreta. Tuttavia, essa richiama l’urgenza di riflettere sul futuro della produzione culturale, sulla governance dell’intelligenza artificiale e sul valore attribuito all’intervento umano nei processi creativi.
In ultima analisi, ciò che emerge con forza è la necessità di spostare il focus dal confronto tra uomo e macchina alla possibilità di una collaborazione armoniosa. L’intelligenza artificiale, come ogni tecnologia significativa, è ambivalente per natura: può diventare uno strumento di emancipazione creativa o, se mal governata, uno strumento di omologazione e banalizzazione. La posta in gioco non è soltanto il futuro dell’arte, ma la definizione stessa di ciò che intendiamo per creatività nel XXI secolo.
In un contesto come quello di Isek.AI Lab, dove il dialogo tra umanità e tecnologia è parte integrante della missione, appare sempre più urgente interrogarsi non su ciò che l’AI può fare, ma su ciò che dovrebbe fare. La vera sfida consiste nel progettare un ecosistema creativo dove l’intelligenza artificiale sia al servizio dell’immaginazione umana, rispettando i diritti degli autori, valorizzando la diversità stilistica e mantenendo vivo quel nucleo emotivo e identitario che rende l’opera d’arte irriducibilmente umana.
L’articolo Il Duello Creativo: AI contro Mangaka, una Sfida tra Umano e Macchina nel Mondo degli Anime e dei Manga proviene da CorriereNerd.it.