Negli ultimi tempi, il tema dell’intelligenza artificiale a scuola mi ha letteralmente rapita. Sarà che sono un’inguaribile nerd appassionata di tecnologia e innovazione, ma vedere come l’IA stia pian piano entrando nelle nostre aule è come osservare la trama di un romanzo di fantascienza che prende vita sotto i nostri occhi. Solo che questa volta non ci sono androidi ribelli o astronavi nel cielo: ci sono tablet, software intelligenti e assistenti virtuali pronti a cambiare la didattica quotidiana.L’IA promette di rivoluzionare l’apprendimento, rendendolo più personalizzato, inclusivo e, per certi versi, anche più “umano”, paradossalmente. Strumenti di intelligenza artificiale possono aiutare gli insegnanti a costruire lezioni su misura per ogni studente, a correggere compiti in modo più rapido, a individuare lacune formative prima che diventino voragini. Immaginate: meno burocrazia, più tempo per guardare negli occhi i ragazzi, ascoltarli davvero, stimolarli a diventare cittadini critici e consapevoli.
Ma, ovviamente, non è tutto oro quel che luccica. L’intelligenza artificiale a scuola porta con sé un bagaglio di dilemmi etici e pedagogici non da poco.
Prendiamo ad esempio il caso degli adolescenti americani: secondo il Pew Research Center, il 26% dei ragazzi tra i 13 e i 17 anni utilizza ChatGPT per svolgere i compiti. Una cifra impressionante che fa riflettere. Se da una parte questi strumenti possono essere straordinari alleati per approfondire argomenti, colmare lacune e stimolare la curiosità, dall’altra rischiano di diventare delle comode stampelle che atrofizzano il pensiero critico.
Esperti come il professor Vincenzo Schettini hanno lanciato l’allarme: affidare troppo ai chatbot può significare “mettere in pausa” il cervello dei ragazzi. E, diciamocelo, il rischio non è affatto remoto. La cultura dello “scrivi due prompt e hai fatto” potrebbe generare una generazione di studenti superficiali, incapaci di analizzare, di approfondire, di sbagliare – perché è anche dall’errore che nasce il vero apprendimento.Eppure, la mia anima geek non riesce a demonizzare del tutto l’uso dell’IA. Anzi, penso che il vero punto sia insegnare un utilizzo consapevole e critico di questi strumenti. Non vietarli, ma integrarli sapientemente nella didattica, come già avviene in molte scuole italiane.
Un’indagine presentata a Fiera Didacta Italia 2025, condotta da INDIRE e “La Tecnica della Scuola”, ha rivelato che oltre la metà dei docenti utilizza già l’IA come supporto alla didattica o come strumento compensativo. Il tipico prof “amico dell’IA”? Una donna over 50, con alle spalle decenni di esperienza nella scuola secondaria, soprattutto nelle materie umanistiche. Mi fa sorridere pensare che sono proprio le “veterane” dell’insegnamento a guidare questa rivoluzione digitale!Tuttavia, anche tra i docenti emergono paure comprensibili: dubbi sull’affidabilità delle informazioni, preoccupazioni etiche, il timore che l’IA possa soppiantare la relazione educativa autentica. Per questo è fondamentale investire in formazione, aiutare gli insegnanti a diventare non solo utenti, ma veri e propri “maestri dell’IA”.
E mentre l’Italia si muove con entusiasmo (la Calabria è stata pioniera nell’introdurre assistenti virtuali per correggere esercizi e creare contenuti personalizzati), altrove si corre a velocità supersonica. In Cina, addirittura, dal 2025 l’IA sarà materia obbligatoria nelle scuole elementari! Un progetto ambizioso che, però, cela anche finalità geopolitiche: formare cittadini iper-performanti per mantenere il dominio tecnologico globale.
Il modello cinese “insegnante-studente-macchina” affascina e inquieta allo stesso tempo. L’uso massiccio di sistemi di monitoraggio emozionale rischia di spersonalizzare l’apprendimento, trasformando i ragazzi in ingranaggi di una gigantesca macchina di produttività.
In Europa, invece, il panorama è più frammentato. L’Estonia, fedele alla sua tradizione da “startup nation”, ha lanciato il progetto AI Leap per integrare ufficialmente l’IA nelle scuole superiori già dal settembre 2025, in collaborazione con OpenAI. Un esempio virtuoso di come si possa innovare rispettando l’etica e puntando a stimolare pensiero critico e creatività.
Anche il Kazakistan sorprende con il suo piano per formare un milione di cittadini all’uso dell’intelligenza artificiale, puntando soprattutto sui giovani e investendo in progetti educativi gratuiti e hackathon nazionali.
Guardando questo scenario globale, mi domando: l’Italia saprà essere protagonista di questa rivoluzione? O rischieremo di restare spettatori mentre altrove si scrive il futuro?
Personalmente, sono ottimista. Se sapremo cogliere le opportunità senza rinunciare ai nostri valori educativi – curiosità, pensiero critico, capacità di sognare – l’IA potrà davvero diventare una compagna di viaggio straordinaria per le nuove generazioni.
E voi cosa ne pensate? Siete più “team entusiasmo” o “team prudenza” sull’uso dell’intelligenza artificiale a scuola? Raccontatemelo nei commenti e, se vi è piaciuto l’articolo, condividetelo sui vostri social: più siamo a discuterne, più potremo costruire insieme un futuro consapevole!
L’articolo AI a Scuola: Alleato o Pericolo per il Pensiero Critico dei Giovani? proviene da CorriereNerd.it.