Per chi ha perso la vista, il mondo si riduce a suoni, odori, sensazioni. Il confine tra ciò che era e ciò che è diventato si misura in attimi rubati alla luce, in ricordi visivi sempre più lontani. Ma oggi, la scienza riaccende un sogno antico quanto l’uomo: restituire la vista ai ciechi. E lo fa con un progetto rivoluzionario che arriva da Melbourne, in Australia, dove un’équipe di scienziati della Monash University ha sviluppato il primo vero “occhio bionico” del mondo, battezzato Gennaris Bionic Vision System.
Ciò che rende straordinario questo sistema non è solo la sua ambizione, ma la concretezza dei risultati. Dopo quasi dieci anni di ricerca instancabile e test preclinici su animali, i ricercatori si preparano a varcare la soglia della sperimentazione umana. Una fase delicata, ma anche carica di promesse. Per milioni di persone colpite da cecità irreversibile, questa tecnologia potrebbe essere la chiave per tornare a vedere, almeno in parte, il mondo che li circonda.
Il funzionamento del sistema Gennaris è un piccolo miracolo d’ingegneria. Una telecamera miniaturizzata, montata su una sorta di casco progettato ad hoc, cattura le immagini del mondo esterno. Queste informazioni visive vengono elaborate da un processore che estrae i dati essenziali e li trasmette a una serie di minuscoli impianti wireless – fino a undici, ciascuno grande come un’unghia – posizionati chirurgicamente sulla corteccia visiva del cervello. Lì, impulsi elettrici precisi stimolano i neuroni, permettendo al cervello di “vedere” forme, contorni, movimenti.
Non è una visione come quella naturale, almeno per ora. Ma è sufficiente per distinguere un ostacolo, trovare una porta, riconoscere una persona cara in un caffè. È una finestra che si riapre sul mondo, dopo anni – spesso una vita intera – di oscurità.
A colpire è anche la cura con cui è stato progettato ogni dettaglio. A differenza di tentativi precedenti, che faticavano a replicare la forma concava della retina umana, Gennaris offre un campo visivo ampio fino a 100 gradi, molto vicino ai 130 di un occhio umano sano, e ben oltre i 70 gradi delle tecnologie più datate. Inoltre, l’uso di nanofili ultra-reattivi ha ridotto notevolmente il tempo necessario per elaborare le immagini, rendendo l’esperienza visiva più fluida e naturale.
Parallelamente a Monash, anche il Centro per la Ricerca Oftalmologica Australiana, in collaborazione con il Bionics Institute e l’Ospedale Reale Eye and Ear di Melbourne, ha avviato un progetto parallelo: una protesi retinica suprachoroidale di seconda generazione, con 44 canali, pensata per pazienti affetti da retinite pigmentosa, una malattia genetica che colpisce circa due milioni di persone nel mondo. I risultati del primo trial clinico, durato oltre due anni e mezzo, sono sorprendenti: i partecipanti hanno mostrato miglioramenti tangibili nella vita quotidiana, riuscendo a orientarsi meglio, evitare ostacoli, trovare oggetti e perfino individuare figure in movimento.
Professori come Penny Allen e James Fallon, medici e scienziati coinvolti nel progetto, raccontano con entusiasmo di pazienti che ritrovano l’autonomia, che camminano con più sicurezza, che osano esplorare ambienti prima inaccessibili. Alcuni riescono perfino a localizzare il partner in un bar o seguire i movimenti di chi si avvicina in una stazione ferroviaria. Non si tratta solo di vedere: si tratta di vivere di nuovo.
E in tutto questo, l’aspetto forse più emozionante è che non siamo più nel regno della fantascienza, ma della scienza applicata. I dati raccolti dimostrano che il sistema è stabile nel tempo, con il 97% degli elettrodi ancora perfettamente funzionanti dopo quasi tre anni dall’impianto. Le prossime tappe – l’approvazione normativa e la diffusione su larga scala – sembrano sempre più vicine.
Certo, la strada è ancora lunga. Ma il fatto stesso che ci sia una strada, e che sia illuminata da conquiste come questa, è già una vittoria. Per ogni persona cieca che potrà distinguere la sagoma di un albero o il profilo di un amico, la tecnologia avrà compiuto il miracolo più umano di tutti: restituire speranza.
In un mondo dove l’intelligenza artificiale e la robotica spesso spaventano per il loro potere di sostituzione, è confortante vedere come le stesse tecnologie possano diventare strumenti di salvezza, di rinascita. Il progetto Gennaris è una dimostrazione viva e vibrante di ciò che accade quando l’ingegno umano incontra la compassione, quando la ricerca non si accontenta di spiegare il mondo, ma prova a cambiarlo – un impulso elettrico alla volta.
Luci nel buio, appunto. E forse, molto presto, sarà davvero l’alba per milioni di occhi che credevano di non poter più vedere.
L’articolo Luci nel Buio: il Futuro della Vista Nella Prima Retina Bionica al Mondo proviene da CorriereNerd.it.